24/09/2022 - 27/12/2022

David Tremlett | 2019 2020 2021 Lavori su Carta con un testo critico di Marinella Paderni





David Tremlett. Architetture dello sguardo.


Cosa è successo all’immaginazione quando siamo rimasti confinati in casa, circoscritti a perimetri limitati, ad azioni essenziali? E alla creatività degli artisti, impossibilitati come tutti noi a viaggiare, ad abitare il mondo secondo scale e proporzioni dal respiro esteso?
Lo dobbiamo ancora scoprire a fondo, freneticamente concentrati a ritrovare uno stato di normalità nel disequilibrio esistenziale di questi ultimi tre anni. Eppure, nonostante l’impotenza, ne è nata una diversa geografia dell’essere, mossa dall’ingegnosità del corpo e dalla creatività della mente, l’intelligenza più capace di liberarci dall’affanno e di condurci a nuove sorgenti del pensiero.


Se la clausura pandemica ha mutato il nostro consueto paesaggio mentale, ha anche aperto ad altre configurazioni spaziali e temporali sorte da abitudini, movimenti, processi mai esperiti nella quotidianità di prima, come vivere un lungo tempo dilatato stando nello stesso luogo o viaggiare tanto con lo sguardo nella stasi spaziale. Un rapporto di metriche, proporzioni, traiettorie fisiche e psichiche da reinventare ogni giorno che per gli artisti ha rappresentato una sfida, e anche una risorsa dagli esiti incredibili. Le immagini che sono nate durante questo periodo hanno qualità singolari, uniche e irripetibili, perché esprimono l’espansione del tempo interiore su quello fisico e un senso relativo dello spazio.


Questa nuova mostra di David Tremlett nasce dall’esperienza particolare del confinamento, una condizione contro natura per l’artista, la cui pratica si è sempre mossa nella dimensione del viaggio quale esplorazione artistica e conoscenza diretta del genius dei luoghi, entrando in contatto con gli elementi ambientali, con la loro storia e le loro caratteristiche visive. Un modus operandi estremamente poetico dove all’incontro fisico con la materia del mondo segue un’elaborazione concettuale ed estetica degli spazi attraversati avvalendosi dei linguaggi della geometria, dell!astrazione, dell’architettura, capaci di rappresentare il processo del pensiero e dello sguardo rispetto all’anima dei luoghi.


L’iniziale impossibilità a spostarsi dei primi mesi ha posto Tremlett nella condizione di ripensare alla pratica del viaggio nel suo lavoro, a ideare delle modalità alternative dell’errare restando nel suo studio. Si è dedicato all’archivio delle sue opere, un viaggio dal tempo più lento, intimo, fatto di movimenti e percezioni differenti da prima, esperito solo attraverso la sua arte. In quella capsula temporale nuova l’artista si è dedicato ancora di più al disegno lasciando che la mano esprimesse le sensazioni del presente mediante la costruzione di spazi dell’altrove, immaginati o suggeriti dalle memorie dei viaggi e dal carattere dei luoghi incontrati. L’emergere di una nuova architettura dell’immagine ha fatto da eco a una diversa architettura della mente, figlia di un momento e di un’esperienza irripetibili.


A quei disegni se ne sono aggiunti altri in questi tre anni, espressione di una visualità inedita e di tessiture spaziali che s’arricchiscono di schemi differenti, dove spicca la presenza della parola. I grandi disegni della serie My places sono straordinarie costruzioni che si muovono tra i due elementi che definiscono il nostro essere nel mondo – l’immagine e la parola – alla ricerca di una sintesi dinamica che parli della cultura dell’uomo, del suo divenire. La parola nomina, l’immagine rappresenta, insieme esplorano i territori della conoscenza.










Pagine strappate, ingiallite dal tempo, liberamente sovrapposte a disegnare mappature mobili che s’incontrano e s’intrecciano alle geometrie care a Tremlett; frammenti di discorsi scientifici e trattati d’epoca stampati con una calligrafia manuale che ci riporta in un tempo dove la parola aveva un’identità autografa, una cifra stilistica originale. Lo spazio illusionistico delle geometrie dialoga in questi lavori con l’illusione della scrittura a mano, la quale fa pensare a come la veridicità delle parole abbia più corpo se la scrittura traduce l’azione del pensiero mediante l’abilità della mano e non la stereotipia del computer. Le carte scritte manualmente hanno la flagranza della vita, lo spessore dell’unicità, mentre la parola digitale esprime anonimia, conformismo, retorica.


Creando linee, curve, volumi dalle traiettorie inconsuete le opere di David Tremlett ritraggono una matematica dello sguardo attraverso cui esprimere la ricerca di una spazialità di più ampio respiro. I limiti e i confini della realtà, che ci ha ingabbiato in questo periodo, sono superati dal movimento libero delle parole, dal loro disordine apparente che suggerisce musicalità, riverbero sonoro, sconfinamento. Qui le cromie calde delle geometrie dialogano con il bianco e nero dei libri vintage, il colore del passato e della storia; la modernità ha altre tonalità, quelle edulcorate del digitale, che non rappresentano la vera pelle del tempo, della memoria.


Le architetture geometriche disegnate a pastello paiono sia contenere il flusso dei discorsi che si muovono nel foglio sia il loro dilagare fuori dai bordi evocando l’idea di un’espansione dello spazio immaginato oltre la carta. L’utilizzo tutto particolare del pastello da parte di Tremlett, che lo lavora a mano, conferisce alle figure spessore plastico e una materiticità morbida, sfumata. Come in quegli affreschi barocchi a soffitto, che rappresentavano l’illusione di uno sfondamento del cielo e un’apertura verso lo spazio del cosmo, così anche i disegni e i wall painting dell’artista esprimono il valore poetico dello spazio nel modellare le forme del nostro errare nel mondo.


I collage della serie My Places (2019) e le architetture astratte del secondo gruppo di lavori presenti in mostra, le opere Drawing for a High Wall e Drawing for a Long Wall(2020), descrivono spazi in rapida progressione che tramutano la bidimensionalità in terza e quarta dimensione, evocando gli orizzonti sperimentali delle avanguardie storiche. Queste nuove sintassi figurative trovano un eco nelle composizioni del Costruttivismo russo e del De Stijl, insieme fautori della geometria come linguaggio rappresentativo del cambiamento sociale e forma di conoscenza e del collage, immagine della frammentazione del presente.


Come un tessuto sottile i wall drawing di Tremlett sono un ordito sorprendente di spazi e di tempi che lasciano intravedere la possibilità di altro di un luogo, di un’architettura: ciò che è lontano diventa vicino, e viceversa, trasformando l’immagine (la pregnanza delle forme, la forza dei colori) in una possibilità per noi di spostamento grazie allo straordinario potere dello sguardo d’immaginare al di là dell’illusione del mondo. Le sue geometrie astratte sono presenze che evocano un segreto da ricercare nel gioco di apparizione-sparizione delle forme le une nelle altre: “Credo che in ogni edificio, in ogni strada, ci sia qualcosa che fa scalpore e fa scalpore ciò che è inintelligibile.” È un processo strutturale e materico di metamorfosi delle cose che abitano il mondo per far emergere quello che ogni luogo – come ogni persona – ha in essere, in potenza, e che l’artista è capace di cogliere come pochi.


Sono un artista astratto e lo sono sempre stato. Sento che l’astrazione ti costringe a pensare, a guardare, e a prendere decisioni in un modo completamente diverso. Questo perché non hai nessun appiglio a cui ti puoi attaccare velocemente. Perciò per il pubblico significa fare uno sforzo nel guardare e cercare di capire cosa sta guardando. Quindi la parte concettuale di questo lavoro è nell’idea di libertà di pensiero, è su cosa un’opera ti permette di pensare”.






Marinella Paderni





Galleria Studio G7