19/06/2015 - 24/07/2015

MARICA FASOLI | FLASHBACK

In che cosa identifichiamo un ricordo? Qualche volta in un profumo, qualche altra volta in un suono. Il più delle volte in un’immagine. Se, per esempio, cerchiamo di concentrarci su quella che è stata la nostra esperienza alla scuola materna, è molto probabile che ci si componga davanti agli occhi uno scorcio dell’aula, la posizione delle finestre da cui intravediamo un frammento di giardino, due compagni infagottati in un grembiulone più grande di loro impegnati a disegnare o a lavorare con la creta e il viso sfuocato della maestra. Tre anni in quel luogo di cui conoscevamo ogni angolo e ogni odore si condensano in quell’unico preciso istante costruito dalla nostra mente.


Parte da questo presupposto, per andare però molto oltre, la ricerca di Marica Fasoli alla base del progetto Flashback. Un giro del mondo – e del tempo – in cinquantadue immagini formato cartolina. Cinquantadue piccoli oli su tela che di ogni anno, dal 1950 al 2001, ci restituiscono un’immagine simbolo, un’icona indimenticabile.


Artista freschissima e tuttavia con una maturità da fuoriclasse, un passato nel restauro che le ha insegnato l’attenzione e la pazienza, Marica Fasoli è un personaggio sui generis nel panorama attuale italiano. Il primo pensiero che viene alla mente davanti ai suoi lavori, condotti con un’attenzione spasmodica al dettaglio infinitesimale, è probabilmente iperrealismo, se non addirittura trompe-l’oeil. Ma poi, a ben guardare, la strada che prende l’artista è diversa. Non le interessa rendere il mondo nella sua esattezza, quanto piuttosto offrircene una versione che si potrebbe definire “riveduta e corretta”.
Le sue sono immagini intrise di una luce che pare provenire dall’interno, portatrici di una gioia giocosa, contagiosa, veicolata da una scelta di colori zuccherini e smaltati che fanno pensare alle meringhe e alla glassa. E come a un vassoio di pasticcini ci si avvicina alla sua pittura: con il desiderio di toccarla, di annusarla, di farsene catturare.


Quasi fosse un suo personale bisogno di redimere il mondo, questa imprescindibile joie de vivre permea anche tutta la serie Flashback, anche quando la scelta del soggetto cade inevitabilmente su temi drammatici, come la morte di Aldo Moro o l’attentato alle torri gemelle. Intanto il virtuosismo sbalorditivo del suo pennello si produce in una serie di pezzi di bravura, facendoci percepire come assolutamente reali (da toccare con mano) carte da pacco stropicciate e frammenti di nastro adesivo che sono lì lì per staccarsi, fascette di plastica e spaghi annodati di cui pare di poter percepire la graffiante ruvida consistenza, post-it provvisoriamente appiccicati e pagine strappate. Dalla storia alla letteratura, dal cinema alla politica, alla musica, all’attualità e naturalmente all’arte, l’artista seleziona momenti chiave, carichi di sentimenti condivisi e di poesia, e con un’operazione concettuale li traduce in flash. In emozione bruciante e immediata. Il 1950 è tutto lì, raccolto in quella luna di cartone, vagamente stropicciata, che sembra uscire da un involto di carta da pacco bruciata ai bordi, mentre sul fondo pulsano le stelle (in primavera, poco prima di morire suicida, Cesare Pavese pubblica La luna e i falò).
Per raccontare il 1956 l’artista sceglie il naufragio dell’Andrea Doria, e lo traduce in un frammento di lamiera della nave con il nome mangiato dalla ruggine. Incantevole il 1958, dove la tela si fa libro, con tanto di copertina, pagine e fascetta (esce postumo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).

E poi ecco la morte di Walt Disney (1966) resa come se un vecchio fumetto avvolgesse la piccola tela; una pagina di un romanzo di Pablo Neruda chiusa da un cordino grezzo e da un cuore a raccontare il 1970, anno in cui il poeta cileno vince il Premio Nobel per la letteratura; un girotondo di bamboline di carta per dare forma alla prima clonazione di embrioni umani (1993). Fino alla nascita di Google (1998) – per la quale l’artista si concede una piccola autocitazione, dando forma a una scatola di giochi in bilico tra suggestioni pop e Alighiero Boetti – e all’attentato alle torri gemelle.
La tragedia dell’11 settembre 2001 è qui sussurrata in punta di pennello: due pezzi di nastro adesivo strappato, le torri ormai morenti, e un cielo stropicciato cupo, invaso di fumo, su cui l’aereo assassino si apre come uno squarcio. La fine di un mondo e di una folle collettiva illusione di sicurezza.

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